Il Ruchè è prodotto tra le colline del Basso Monferrato Astigiano, in un’area limitata a soli sette Comuni. Conosciuto da sempre dalle genti del luogo, è rimasto a lungo dimenticato tra filari di Barbera e Grignolino per ricomparire con tutta la forza della sua originalità negli anni 60 grazie ad un prete di paese, Don Cauda, che prese a coltivarlo nel Beneficio parrocchiale, anche a costo di farsi riprendere più volte dalla Curia.
Un vino tra i più rari del Monferrato quindi, ma anche misterioso. Non è certa l’etimologia del nome, ruchè si pronuncia rukè con l’accento grave, senza francesismi. Potrebbe riferirsi ai primi vigneti coltivati vicino ad una chiesa benedettina, ora non più esistente, consacrata a San Roc (San Rocco). Oppure, potrebbe avere un nesso con la parola dialettale “ronchet” che indicherebbe l’arroccamento della vigna ben esposta al sole.
Anche le sue origini appaiono avvolte dal mistero. Potrebbe essere stato importato nel XII secolo dalla Borgogna, ad opera di monaci cistercensi.
Certo è che i meriti del Ruchè sono stati universalmente riconosciuti con l’attribuzione giunta nel 1987 della D.O.C. e nel 2010, ancor più importante, con il riconoscimento della D.O.C.G.
Le sue caratteristiche peculiari unite al mistero che circonda l’origine e la ricomparsa di questo vino, oltre che stimolare piacevoli sensazioni gustative e olfattive, continuano ad attivare un alone di curiosità e fantasioso interesse.